Dopo aver levigato la parete da dipingere il più possibile, gli artigiani vi applicavano un sottile strato di fango o di intonaco e lo facevano asciugare. Si preparava allora una grande griglia sulla parete, usando spaghi intinti nella pittura rossa. In questa griglia venivano copiati accuratamente con la vernice nera i disegni che l’artista aveva tracciato su un reticolo più piccolo; in seguito il maestro avrebbe fatto le correzioni del caso con inchiostro rosso. Nei dipinti si usavano tinte unite e poche volte si tentò di rappresentare sfumature di colore o effetti luce. La pittura era preparata con i pigmenti distribuiti dagli scribi addetti all’opera, che li ricevevano dai laboratori reali. L’ocra era la base per produrre i rossi, i gialli e i bruni; dalla pietra calcarea si ricavava il bianco, dalla malachite il verde e dal lapislazzuli, cotto una sola volta, il blu. Le pitture erano a base d’acqua e venivano applicate direttamente sull’intonaco; le scene erano riempite secondo una sequenza. Si iniziava con i toni della carne, mentre lo sfondo (che nei tempi antichi era bianco) sarebbe stato dipinto successivamente. Alla fine della XVIII dinastia, nelle tombe reali prevale un fondo blu scuro, mentre a partire da Ramses II si preferì il giallo. Gli artisti stendevano un po’ di bianco sulla tonalità della carne nel tentativo di rendere la trasparenza del lino, mentre per rappresentare i tessuti pieghettati si ricorreva a sottili linee nere o gialle su fondo bianco. I dettagli per caratterizzare i lineamenti del volto, i gioielli, i riccioli delle parrucche e i modelli degli abiti venivano aggiunti alla fine.